(ITA)
Gesù fu performance artist quando, appena dodicenne, si intrattenne con i dottori della Legge nel tempio di Gerusalemme, quando scacciò i mercanti e gli usurai dallo stesso luogo e tutte le volte che guarì, esorcizzò o fece risorgere i morti. E questi miracoli sono “segni”, che invitano alla risposta della fede; segni che sempre sono accompagnati dalle parole, che li illuminano; e insieme, segni e parole, provocano la fede e la conversione per la forza divina della grazia di Cristo. Le sue performance avvengono in presenza di un pubblico, un’audience che è lì a testimoniarne la veridicità, e sono eterne e trascendenti. Non si sono mai fermate e, infatti, continuano ancora oggi. Ogni volta che un fedele prega, il cerchio si chiude e la performance viene ricevuta efficacemente. Mysterium Fidei.
Animate da un lirismo raro nell’odierno scenario artistico contemporaneo, le opere “performative” di Rauschmann rivelano l’intenzione dell’artista di descrivere, celandolo e manifestandolo insieme, un evento biblico, ovvero la risurrezione di Cristo e, tramite una radicale e spesso imprevedibile riconfigurazione dei suoi significanti (quasi un détournement) di dimostrarne la verità ontologica.
Liberando lo spazio immaginario dalla forza di gravità e dal tempo, Rauschmann ci offre così un enigma da risolvere, antico come la storia dell’uomo e contemporaneo quanto noi che lo osserviamo. Un enigma che, esattamente come una preghiera, si nutre del suo stesso ripetersi all’infinito. Un miracolo che assume le sembianze umane, le nostre, che non abbiamo bisogno di un corpo per immaginare né di vedere per credere. E se è vero che le azioni di Gesù Cristo sono performance ante litteram, anche l’atto stesso di pregare, oggi, è da considerarsi un evento artistico e performativo, che si svolge da sempre e per sempre in assenza di un corpo, quello mistico, ricreandolo all’infinito nella mente di un fedele.
JESUS COMPLEX è una variazione intorno al tema dell’attesa, l’attesa di colui che verrà o forse, più probabilmente, non verrà mai. In uno scenario dell’Apocalisse post Covid-19, proprio quando un’isteria generalizzata sembra aver preso il sopravvento, saranno forse gli artisti e i poeti a indicare la via? Qualcosa di tremendamente attuale, un tono quasi malato, riscattato però da un portentoso desiderio di salvezza emerge dagli “Aktionstableaux” di Rauschmann. Qui la più profonda disperazione trova, quale residuo di una filtrazione, la risposta a lungo cercata: la scoperta “non solo di vivere ancora, ma dell’esserci ancora vita”. Nella performance e oltre.
Realizzato ad hoc per la mostra milanese dall’omonimo titolo, l’Aktionstableau “Jesus Complex” rappresenta la pietra angolare del percorso artistico di Alessandro Rauschmann, il luogo geometrico in cui si incontrano, senza mai estinguersi e perdere di vigore, le suggestioni che lo hanno portato, nel corso degli anni, ad abbracciare tutta una serie di medium artistici tradizionali e contemporanei quali scultura, pittura e performance art. Qui una t-shirt nera, modellata secondo la forma di Cristo in croce, campeggia al centro della composizione, cinta tutt’intorno da quattro rametti d’agave essiccati. In alto, un piatto di ceramica con motivi dorati è spaccato in due a simboleggiare un’aureola. Un frammento di vetro ingloba sottilissime foglie di ulivo laccate di rosso, come rosso è pure il lo che unisce un guantone sospeso e, poco più sotto, un vinile di Giuseppe Tartini, “Il Trillo del Diavolo”. L’egie dell’autore è interamente coperta da una conchiglia contornata di un velo nero. “L’idea – ricorrente nel mio lavoro – è quella di giocare a nascondere sempre qualcosa”, racconta l’artista, “degli elementi della composizione e, nascondendoli, di proteggerli. Volevo costruire una vera e propria struttura difensiva, un castello o un esoscheletro a difesa di un corpo fragile con un’anima fragile”.
Oscillando tra il mondano e il rituale, il sacro e il profano, il visibile e l’invisibile, “Jesus Complex” conserva in sé la traccia quintessenziale di un gesto artistico tanto spontaneo quanto attento, che si serve di oggetti semplici, di uso quotidiano, per richiamare alla memoria concetti religiosi che ancora oggi non smettono di affascinare e turbare l’uomo contemporaneo.
L’intensità delle sue opere parla di una tensione drammatica fra ciò che potrebbero rappresentare e ciò che in realtà sono. Elementi arcaici, tropi cristologici e ricordi personali dell’artista sono incorporati in un linguaggio visivo polimorfo che da una parte svela un’assenza, una perdita, qualcosa come la necessità di una cesura o-scura (il nero è onnipresente nel suo lavoro) e dall’altra tematizza il desiderio di intraprendere una vita nuova in cui la fede cristiana venga rilanciata come esperienza concreta e costante di rinascita. Considerando il vernacolare come imprescindibile punto di partenza per il suo lavoro, Rauschmann intreccia storie ed eredità proprie della cultura cristiana, allegorizzando, al tempo stesso, l’essenza problematica ed eterogenea dell’esperienza contemporanea. Come un amanuense devoto alla sua opera di trascrizione di testi sacri, l’artista, contemporaneo di nascita ma antico d’elezione, si confronta con una tradizione millenaria allo scopo di distillarne forme e strutture che resistano all’assedio di una modernità che tutto avvolge e travolge nel Nulla di senso. I suoi Aktionstableaux emergono così in tutta la loro “negatività”, come risultato di una sottrazione, di una rinuncia, o meglio di una conagratio mundi che, però, lascia intatta un’immagine, una sola, senz’altro labile e ad un passo dal disfacimento ma, nalmente, un’immagine. Un’immagine in grado, forse, di restituirci il nostro nome e il Suo.
Angelica Moschin 2021
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